Araldica ecclesiastica

la scienza araldica della Chiesa e della sua nobiltà

Araldi e araldica

L’araldica nasce nel Medioevo e prende il nome dagli araldi: i banditori-messaggeri antesignani dei pubblici ufficiali perché svolgevano compiti pubblici come divulgare avvisi e riconoscere o identificare persone e appartenenze a famiglie o a gruppi specifici.

Il Medioevo è un periodo oscuro dominato da ignoranza e analfabetismo: pochi sapevano leggere e molti di essi lo facevano a fatica frequentemente sillabando o identificando lettera per lettera le iscrizioni.

In tale contesto era impossibile identificare persone e gruppi attraverso nomi e parole e presto si diffonde e generalizza l’usanza inizialmente islamica di distinguere i cavalieri per mezzo di emblemi, colori e disegni simbolici applicati sugli stendardi, sugli scudi, sulle armature, sugli abiti, sulle bardature dei cavalli per identificare immediatamente alleati e avversari.

Quando quest’uso si diffonde tutti scoprono che in un epoca di analfabetismo ampiamente diffuso la grafica e gli emblemi consentono di identificare e riconoscere persone, famiglie e gruppi in modo molto semplice e pratico.

Proprio gli araldi avevano il compito di riconoscere subito e a distanza le persone e i gruppi e quando inizia a farlo attraverso queste insegne proprio dal loro nome e dai loro compiti nasce l’araldica cioè lo studio degli elementi grafici di riconoscimento definiti emblemi o stemmi.

Gli stemmi araldici sono molto diversi dagli attuali loghi e marchi perché possono evolversi e mutare al contrario dei loghi o marchi d’impresa moderni che rimangono congelati nella loro immutabilità e sono sempre uguali.

Oltre alle singole persone gli stemmi identificano anche famiglie e linee di discendenza e successione ereditaria e possono modificarsi nel tempo aggiungendo attributi specifici attraverso nuovi colori o elementi quando le famiglie o i gruppi si fondono alleandosi oppure avviene un evoluzione dei compiti e delle prerogative.

Lo stemma è costituito in primo luogo dallo scudo che riporta colori e simboli significativi. Lo scudo può essere contornato da ornamenti esterni che gradualmente assumono caratteristiche sempre più definite aumentando la loro importanza. Anche il motto cioè una frase caratteristica riportata sotto lo stemma contribuisce all’identificazione.

Gli stemmi, durante il Medioevo, identificavano nobili, cavalieri e alti prelati: cioè personaggi di rango elevato che rendevano noto tramite il blasone grafico la loro posizione, il rango e i privilegi.

Divenuti un sistema di identificazione, gli stemmi acquisiscono e vengono regolati da norme specifiche in modo da eliminare ogni incertezza di identificazione anche se la possibilità di evoluzione degli stemmi rende queste regole dinamiche più complesse delle norme ordinarie che si mantengono statiche e immutabili.

Gli stemmi ecclesiastici cominciano subito a differenziarsi nettamente da quelli laici e sono costituiti spesso da specifici elementi o da disposizioni particolari che suggeriscono la loro derivazione ecclesiale. Quando gli stemmi familiari derivano da origini sacerdotali o ecclesiali possono contenere elementi evidenti di richiamo come la croce rossa patente dei Templari oppure suggerire questa discendenza senza manifestazioni palesi usando in modo specifico divisioni in settori colorati degli scudi o elementi uguali riportati in numero di tre o in multipli di tre che richiamano la perfezione del Dio uno e trino.

Quando gli emblemi sono caratterizzati da triadi di elementi uguali o da triangoli evidenti o occulti creati con terne di elementi uguali disposti ai vertici di triangoli ideali non riportati la famiglia possiede discendenze ecclesiastiche.

Gli stemmi ecclesiastici

 

Gli emblemi della Chiesa rappresentano prelati, famiglie e ordini religiosi e ogni categoria utilizza una specifica classe di emblemi araldici.

Gli stemmi dei diaconi, dei sacerdoti e dei vescovi costituiscono complessivamente l’araldica della Chiesa che identifica principalmente vescovi e ordini monastici anche se diaconi e sacerdoti possono legittimamente avere ed usare uno stemma personale.

Gli emblemi ecclesiastici possiedono uno stemma e un motto definiti e non mutevole al contrario degli ornamenti esterni che cambiano arricchendosi in relazione all’avanzamento del clerico nella gerarchia ecclesiastica.

La Chiesa che il Credo prega sia una sola e unita si divide anche negli stemmi diversi fra loro consentendo di individuare i clerici romani, ortodossi e anglicani proprio dalle caratteristiche specifiche degli emblemi.

Gli stemmi dei clerici Anglo Cattolici sono molto vicini a quelli Romani e, a volte, possono addirittura possedere una doppia veste grafica con lo stesso scudo centrale circondato di ornamenti esterni diversi derivanti da entrambe le parti per essere utilizzati in occasioni e ambienti differenti.

Gli emblemi Ortodossi si caratterizzano in modo più marcato e ogni classe araldica possiede caratteristiche specifiche.

Lo scudo

Lo scudo, come abbiamo già detto, rappresenta l’elemento centrale che contiene gli elementi araldici grafici principali e caratterizza fortemente l’emblema.

Gli scudi si distinguono innanzi tutto per la loro forma geometrica. In ambito ecclesiale gli scudi più utilizzati hanno forma:

Generalmente la forma dello scudo risente della nazione di provenienza della famiglia ma, anche questa, non è una regola rigida anche se partecipa comunque all’identificazione dello stemma.

Lo scudo si sovrappone parzialmente agli ornamenti esterni che dietro di esso possono incrociarsi.

Un nastro svolazzante posto sotto lo scudo contiene il motto personale.

Le croci araldiche

Il simbolo della Croce rappresenta i Cristiani e la religione Cristiana oltre ad essere il simbolo maggiore di nostro Signore che ha salvato gli uomini con il suo sacrificio. Gli ortodossi utilizzano solo la forma della croce, rifuggendo dall’apporvi il Cristo sofferente o trapassato, ma a volte la completano con l’immagine di Gesù vivo in abiti e atteggiamenti regali.

Le croci sono a bracci uguali o con l’elemento verticale più lungo come la croce della Crocifissione.

Molte Chiese hanno adottato croci con specifiche varianti per distinguere la propria identità quindi negli stemmi possono comparire croci di diversa foggia.

Gli elementi araldici derivati dalla croce sono generalmente semplici e caratterizzati essenzialmente dalla loro forma sfruttando colori uniformi ad elevato contrasto.

Come vedremo nella sezione specifica gli smalti, cioè i colori araldici sono pochi e vengono abbinati in modo da presentare contrasti evidenti allo scopo di rendere più semplice e rapida l’identificazione a distanza da parte degli araldi.

Questa caratteristica è molto importante tanto da sopravvivere ancora oggi nella segnaletica stradale che deve essere identificata in modo univoco anche a distanza.

La croce costituisce un elemento fortemente caratterisitco e subisce, nel tempo, molte interpretazioni. La tabella che segue descrive i tipi più comuni ma ogni simbolo viene interpretato in vari modi dando origine a vere e proprie sottoclassi di elementi.

Nome della croce

Descrizione

Simbolo

LATINA

Semplice con braccio orizzontale o traversa più piccolo rispetto a quello verticale

GRECA

Semplice a bracci uguali

PATRIARCALE

o di LORENA

A doppia traversa con quella superiore piccola perché rappresenta il cartello posto sulla croce di Gesù indicante la motivazione della condanna come prescritto dalle leggi romane: I.N.R.I. acronimo di Iesus Nazarenus Rex Iudeorum, letteralmente Gesù nazareno, re dei giudei. Detta anche di Lorena

GIGLIATA

A bracci uguali con estremi a forma dii giglio. Anche la croce latina può avere estremi gigliati

DI CANTERBURY

Croce con nucleo centrale quadrato a quattro bracci uguali allargati agli estremi e ondulati all’interno dei bordi completata da triangoli allungati inscritti

DI MALTA

A bracci uguali a punta di freccia rivolti al centro

PATENTE o TEMPLARE

A bracci uguali con estremi che si allargano

POTENZIATA

A bracci uguali con tratti importanti perpendicolari ad ogni estremo

DI TOLOSA

A braccia uguali a losanga con estremi evidenziati da piccole sfere

IMPERIALE

Croce che sormonta un globo e rappresenta il dominio di nostro Signore sul mondo intero definendo il più alto simbolo di potenza e comando quindi di regalità

MONOGRAMMATICA

Croce realizzata dall’unione delle lettere X e P abbreviazione greca del nome di Cristo

ARMENA

Croce con gruppi di tre elementi circolari ad ogni estremo per richiamare in modo deciso la S. Trinità

CELTICA

Croce greca o latina con braccio verticale lungo associata ad un cerchio della stessa importanza dei bracci che taglia

DI GERUSALEMME

Croce potenziata arricchita da piccole croci disposte vicino all’intersezione dei bracci

DI SANT’ANDREA

Croce con bracci uguali incrociati a formare una X associata all’Apostolo che venne martirizzato su un croce simile

P

RESBITERIANA

Croce di foggia celtica con estremità a giglio utilizzato come simbolo della Chiesa Presbiteriana

A OTTO PUNTE

Generata da due croci a quattro punte sovrapposte ma sfalsate di 45°

COPTA

A quattro bracci uguali che si allargano alle estremità in modo caratteristico rappresenta la Chiesa Copta

DELLA CONSACRAZIONE

Sono chiamate così perchè utilizzate per segnare i dodici punti unti con il Sacro Crisma su stipiti, pareti e arredi fissi con durante la consacrazione di una nuova Chiesa

RUSSA

A doppia traversa superiore diritta e inferiore inclinata che indica con l’estremo alto il ladrone pentito destinato al paradiso e con quello basso l’altro ladrone destinato alla dannazione

SERBA

A quattro bracci uguali con lettere beta greche iniziali di basileús basiléon, basileúon basileuónton’ cioè Re dei Re sopra tutti i Re.

TRILOBATA

Croce latina con tre lobi uniti fra loro ad ogni estremità

Gli elementi a croce possono essere caratterizzati anche da colori specifici in modo da accentuare il contrasto rispetto allo sfondo.

Gli ornamenti esterni

Gli stemmi nobili laici sono sormontati da una corona o da un elmo che identifica il grado di nobiltà attraverso la forma, il numero, il colore e il tipo di gemme o di piumaggi. Spesso le corone hanno gigli, fragole o altri elementi riportati.

Anche nell’araldica ecclesiale gli ornamenti esterni indicano le qualifiche ma con qualche tratto distintivo specifico.

Gli stemmi del clero romano e di quello anglicano usano il caratteristico cappello ecclesiastico a cupola con tesa larga detto galero oppure la mitra vescovile.

G li stemmi ortodossi di rango elevato sono circondati da un manto regale che scende da una corona mantenuto aperto da specifici fiocchi che simulano la presa delle mani di un paggio agli angoli superiori del mantello in modo da mantenerlo aperto.

A differenza di quelle laiche la corona ortodossa è sempre uguale in quanto, insieme al manto rosso che circonda tutto lo scudo foderato di ermellino regale, rappresenta il simbolo del Primate che garantisce la qualifica del clerico e non il rango del clerico stesso come avviene negli stemmi laici.

Quando è presente, il manto regale ortodosso di ermellino circonda anche il nastro contenente il motto.

I diaconi e i sacerdoti ortodossi non usano i galeno ma la skufia cioè il cappello nero a cilindro senza tesa tradizionale dei presbiteri ortodossi.

Ortodossi e Anglicani utilizzano elementi incrociati dietro lo scudo mentre i Romani ne usano solo uno in posizione centrale verticale detto a palo.

Gli ornamenti Romani

Il mondo romano è quello più ricco in assoluto di ornamenti esterni.

D ietro lo scudo in posizione verticale centrale i vescovi riportano la croce astile semplice, mentre arcivescovi e primati usano quella doppia sempre nella posizione detta a palo cioè verticale e centrale.

La croce astile è la croce posta alla sommità di un’asta per essere portata in processione. Quando viene utilizzata dal primate in luogo del pastorale prende il nome di refula. Naturalmente la croce astile per le processioni è molto più grande e alta della refula che invece ha le dimensioni di un pastorale.

Presbiteri e diaconi non utilizzano invece nessun elemento astile nei loro stemmi.

L’araldica romana non utilizza elementi incrociati ad eccezione delle chiavi presenti negli stemmi papali, dello Stato della Città del Vaticano, della Sede vacante e del suo Camerlengo.

Le chiavi sono rappresentate con l’impugnatura in basso, una d’oro per il Regno Divino e una d’argento per il Regno sulla Terra.

Gli stemmi della Sede vacante e dello Stato Vaticano sono sormontati dal parasole a settori oro e rossi che veniva portato per proteggere il Papa nei suoi spostamenti insieme ai flabelli giganti entrambi retaggi feudali caduti in disuso.

Lo scudo romano, della forma che richiama la nazione di appartenenza, è sormontato dal galero, cioè il tradizionale copricapo clericale occidentale a cupola bassa e tesa molto larga. Il colore e il numero delle mappe dei d ue lunghi cordoni annodati agli angoli superiori definiscono il rango ecclesiale.

Il galero viene rappresentato di lato o leggermente sollevato in direzione dell’osservatore che lo percepisce in una prospettiva più naturale.

Il colore del galero romano è:

Le nappe del galero sono inserite a strati in numero definito:

L a Chiesa Romana chiama Papa il proprio Primate e aggiunge i cardinali come ulteriore ordine clericale ai tre previsti universalmente.

I Cardinali possono essere laici oppure ordinati presbiteri o vescovi e il loro stemma riflette queste caratteristiche.

Lo stemma papale era sormontato dal triregno il copricapo in oro e gemme formato da tre corone sovrapposte con le quali veniva incoronato il Papa che i romani definiscono: padre dei re, rettore del mondo e vicario di Cristo in terra. Papa Giovanni XXIII° ha eliminato l’incoronazione e Papa Benedetto XVI° si è uniformato ad ortodossi e anglicani che considerano il Papa il vescovo di Roma e il reverendissimo Primate della sua Chiesa Romana.

Papa Benedetto XVI° e poi Papa Francesco hanno abbandonato il triregno anche nello stemma preferendogli la mitra episcopale dotata però di tre fasce d’oro orizzontali e sovrapposte che richiamano l’idea delle tre corone del triregno.

Sono rimaste le chiavi incrociate, una d’oro simbolo del potere spirituale e una d’argento simbolo di quello materiale.

Le chiavi incrociate con l’impugnatura in basso compaiono anche nello stemma dello Stato della Città del Vaticano, nello stemma della Sede Vacante che entra in vigore nel periodo di tempo che intercorre tra la scomparsa del Papa e la nomina del suo successore e del Camerlengo il prelato che sostituisce il Papa negli affari correnti durante la Sede Vacante.

La mitra del Papa è quindi il simbolo del vescovo di Roma anche se conserva le tre strisce d’oro orizzontali come riferimento al dismesso triregno.

I vescovi e i cardinali vescovi hanno, dietro lo scudo, il simbolo della croce astile cioè la croce posta su un asta per essere portata in processione.

Una croce semplice viene utilizzata per i vescovi e gli abati mitrati mente una croce astile doppia, cioè con due bracci orizzontali di larghezza differente, per cardinali, arcivescovi, vicari e primati. La croce doppia ha la traversa superiore più stratta per richiamare la scritta che veniva posta sulla croce dai soldati romani per richiamare il motivo della sentenza.

In alcuni emblemi la doppia croce viene sostituita dalla croce patente gemmata cioè impreziosita da 5 gemme poste all’estremità e all’incrocio dei bracci. Generalmente le gemme della croce patente sono rubini, smeraldi o turchesi e possono essere tutte uguali o con la gemma centrale diversa.

I simboli ortodossi specifici

 

G li stemmi ortodossi comprendono alcune differenze sostanziali rispetto agli altri emblemi.

I primati o patriarchi circondano lo scudo con il manto regale episcopale violaceo-paonazzo foderato di ermellino, dietro al quale si incrociano gli elementi astili, sormontato dalla corona primaziale.

Nella Chiesa Ortodossa i territori compresi in una circoscrizione amministrativa o religiosa possono essere chiamati eparchie o esarchie e sono governati rispettivamente da eparchi o esarchi.

L’eparchia nella Chiesa Ortodossa Orientale corrisponde alla diocesi romana e anglicana e la sua guida pastorale, l’eparca, corrisponde al vescovo.

La diocesi rappresenta i fedeli o il territorio affidati alla giurisdizione religiosa e alle cure pastorali di un vescovo. In Italia il Nuovo Concordato stabilisce la libertà alle Chiese di definire i limiti di ogni diocesi purché non comprenda anche territori di altre nazioni e non possono essere costituire diocesi estere che comprendano territori geograficamente italiani. Diocesi particolarmente estese sono definite arcidiocesi e guidate da un arcivescovo. Un arcivescovo può esercitare la guida di un gruppo di diocesi rette ciascuna da un proprio vescovo. Similmente possono essere create arcieparchie ortodosse e arcieparchi.

Quando per specifici motivi non viene costituita un eparchia i fedeli vengono inseriti in una esarchia che può essere di qualsiasi dimensione in relazione alla necessità, anche più piccola o molto più grande di un ordinaria eparchia.

L’esarca governa l’esarchia ed è sempre un prelato di alto rango come un ispettore di monasteri, un delegato del primate o un vicario generale al quale è affidata un’intera nazione estera o un continente da governare in nome e per conto del primate che nella tradizione ortodossa assume il nome di patriarca.

Ogni Chiesa autocefala ortodossa viene definita Patriarcato.

La Chiesa antica ne aveva 5 di particolare importanza quelli di: Roma, Alessandria, Costantinopoli, Gerusalemme e Antiochia mentre la Chiesa Ortodossa attuale contempla quello di Costantinopoli, 8 principali in comunione con Costantinopoli (Alessandria, Gerusalemme, Antiochia, Mosca, Georgia, Serbia, Romania, Bulgaria) e 3 non in comunione (Vetero ortodosso russo di Mosca, Ortodosso ucraino di Kiev e Ortodosso autocefalo ucraino di Kiev).

Sino al 2006 la Chiesa Romana era conosciuta anche come Patriarcato d’Occidente titolo abolito da Papa Benedetto XVI° per evitare contrapposizioni con i Patriarcati Orientali e per l’indeterminatezza acquisita attualmente dal concetto di Occidente.

Gli eparchi e gli esarchi utilizzano corona e manto regale sopra gli elementi astili incrociati, ad eccezione degli armeni i cui vescovi usano invece solo la mitra e gli ornamenti astili.

La croce astile singola con un solo braccio orizzontale di foggia tradizionale o patente a quattro bracci uguali e quella doppia con due braccia orizzontali di larghezza diversa possono essere gemmate con rubini, smeraldi o turchesi combinati in vario modo e incastonati alle estremità e agli incroci dei bracci.

La croce astile utilizzata per dare dignità episcopale viene incrociata con il pastorale e collocata sempre a destra.

Anche il Primate che usa la ferula, cioè il pastorale a lui riservato con la croce e non il ricciolo alla sommità, per evitare confusione nello stemma incrocia la doppia croce astile o quella semplice gemmata con un pastorale tradizionale.

Gli abati e i priori mitrati, cioè ordinati vescovi, possono utilizzare uno stemma con due pastorali incrociati.

Tutti i vescovi ortodossi indipendentemente dalla loro qualifica e dal simbolo sommitale (corona o mitra) hanno la croce astile posta alla destra dello stemma incrociata con il pastorale o con il globo astile, sfera simbolo di regalità che rappresenta il mondo sormontata da una piccola croce.

La sfera del globo astile è di dimensioni coordinate con il rango e l’importanza del prelato.

I primati hanno un globo astile grande sormontato da una piccola croce e in q ualche caso aggiungono anche un pastorale e una seconda croce astile, mentre i vescovi usano un globo piccolo ma sempre sormontato da una piccola croce simbolo dello Spirito Santo che pervade il mondo e del potere episcopale.

Diaconi e sacerdoti ortodossi usano la skufia, cioè il cappello nero a forma di cilindro tradizionale ortodosso, sopra lo scudo ma parzialmente coperto da questo.

Dalla skufia si dipanano due vetti che si incrociano dietro lo scudo dotati di frange e simboli liturgici come piccole croci di colore bianco, nero o verde.

G li ortodossi chiamano ieromonaci quei religiosi che sono anche stati ordinati sacerdoti o i sacerdoti che hanno preso i voti monastici.

Quando la stessa persona è contemporaneamente monaco e diacono viene definita ierodiacono.

L’emblema da ieromanoco ha una skufia alta e svasata arricchita da un ampio velo fissato alla skufia stessa e sempre nero.

La simbologia araldica anglicana

Gli stemmi anglicani sono i più semplici, e divisi in due categorie con lo scudo sormontato dalla mitra episcopale con le due vitte che escono dai lati dello scudo stesso per i vescovi e il galero per tutti gli altri.

La mitra è il copricapo più importante e solenne di tutte le Chiese Cristiane perché è il simbolo, insieme al pastorale, dell’autorità del vescovo ma aggiunge anche i significati della sua dignità e santità.

La mitra viene utilizzata insieme al pastorale ma mai durante la proclamazione del Vangelo in segno di rispetto come si fa per la berretta ad otto spicchi (che utilizzano anche ebrei e islamici ma con sette spicchi solamente) che viene chiamata anche solideo (dal latino soli Deo tollitur cioè solo al cospetto del Signore la tolgo) che rappresenta la mano divina tenuta sulla testa del prelato per guidarlo e proteggerlo.

La mitra è un copricapo costituito da due parti pentagonali parzialmente unite ai lati per lasciare libere le punte completato da due vitte posteriori che richiamano i lacci sottogola utilizzati per fermare sulla te sta il copricapo.

La mitra può essere a lati diritti oppure può allargarsi sopra il capo con angoli arrotondati e viene utilizzata in tre versioni: la mitra preziosa è quella ordinaria bianca con ricami in oro o argento, la mitria Mariana è dedicata a Maria Immacolata nostra protettrice è bianca con ricami azzurri, oro o argento e la mitra bianca senza ricami che viene usata per i funerali e le concelebrazioni durante le quali tutti i vescovi presenti possono utilizzare la mitra bianca semplice per onorare il vescovo che celebra e presiede indossante la mitra preziosa oppure quella mariana. Gli Anglicani venerano Maria come la Santa madre di Gesù ma come per i Santi non considerano un tramite fra noi e il Signore. Maria Immacolata viene considerata Santa ma rimane umana e non è ascesa al Cielo diventando Divina come per i Romani: status che solo la S.S. Trinità assume.

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La mitra anglicana araldica è generalmente caratterizzata da una fascia centrale verticale affiancata da due croci.

Negli stemmi anglicani la mitra è generalmente bianca e oro, che sono i colori simbolo della solennità, ma può essere anche bianca e verde in quanto colore episcopale, o bianca e rossa per arcivescovi e primati.

L o stemma vescovile può essere arricchito di croce astile singola, doppia o gemmata sempre però incrociata con il pastorale.

Contrariamente all’uso ortodosso il pastorale è disposto a destra dello scudo che suggerisce al vescovo di impugnarlo con la mano sinistra per lasciare la destra libera di benedire. Il pastorale viene utilizzato solo da vescovi, arcivescovi e primati, anche se quest’ultimi possono utilizzare la refula, nelle cerimonie solenni e solo da quello che presiede il rito nel caso sia presente più di un vescovo. Generalmente il vescovo utilizza il pastorale solo nei riti che si svolgono nella sua diocesi ma questa consuetudine viene frequentemente disattesa.

Il pastorale è un bastone simbolico che riprende quello dei pastori appuntito in basso per difendere il gregge e spronare i pigri, diritto per guidare e condurre i deboli e con la sommità ad uncino per radunare senza danno gli smarriti agganciandoli con delicatezza.

Il pastorale è il simbolo delle prerogative e dell’autorità episcopale nella sua qualità di pastore di anime e deve essere più alto di lui per rispetto alla suprema autorità del Signore che colloca il vescovo, il maggiore dei tre gradi clericali evangelici, direttamente sotto di Lui.

Il pastorale, presente negli stemmi anglicani, è utilizzato anche da romani e ortodossi come simbolo territoriale tanto che, come già detto e con alcune eccezioni, viene utilizzato dal vescovo solo nella sua giurisdizione ecclesiale: diocesi, eparchia, esarchia, ecc.

Gli ortodossi utilizzano, anche il “bastone episcopo” o bastone del vescovo, del tutto simile al pastorale ma privo di uncino sommitale e più basso. Il pastorale e il bastone episcopale costituiscono l’appoggio per il vescovo durante il suo cammino pastorale.

Per questo il pastorale viene impugnato con la mano sinistra per continuare ad offrire sostegno al vescovo anche quando benedice con la mano destra quindi gli stemmi anglicani lo collocano a destra in quanto considerano che il vescovo sia di fronte rispetto a chi osserva l’emblema araldico.

I l pastorale viene utilizzato durante il rito della Messa nelle processioni di ingresso e congedo, durante la proclamazione del Vangelo e quando vengono impartiti Sacramenti (Battesimo ed Eucarestia) e Sacramentali (Confessione, Cresima, Unzione degli infermi, Ordinazione, Matrimonio) mentre viene usato sempre più raramente durante l’omelia.

Il diacono presenta sopra lo scudo il galero nero semplice mentre i presbiteri e i canonici hanno sopra lo scudo il galero nero con fiocchi colorati che si incrociano arricchiti da nodi e mappe a più strati sovrapposti in modo simile ai romani.

I fiocchi del galero e le mappe sono sempre dello stesso colore nero per i sacerdoti e rossi per i canonici ma il cappello rimane sempre nero

Le nappe nello stemma sono inserite a strati in relazione al rango:

I n qualche raro caso sono previsti:

Ma gli anglicani, anche se possono utilizzare il cappello galeno con le mappe stratificate per vescovi, arcivescovi e primati, in realtà prediligono la mitra con vitti e astili incrociati.

L’uso del galero e della mitra definisce quindi una linea di separazione fra i primi due ordini e quello episcopale.

Ai vescovi, agli abati e ai priori mitrati è concesso inserire dietro allo stemma due pastorali in luogo del pastorale e della croce astile.

Anche gli scudi degli stemmi anglicani sono completati dal nastro svolazzante con il motto personale nella parte inferiore.

Colori araldici

Negli emblemi i colori assumono caratteristiche precise, costituiscono un segno molto forte, sono utilizzati in numero limitato con precisi significati. I colori principali e più significativi utilizzati in araldica sono detti smalti.

ORO

Il primo fra gli smalti è l’oro, a volte sostituito dal giallo. L’oro rappresenta la Fede cioè la prima virtù e anche ricchezza, opulenza, potenza nel senso prettamente materialialistico quindi associato al comando e al dominio. L’oro rappresenta la potenza del sole, del leone, della giovinezza umana, la preziosità del topazio, dell’oro stesso principe fra i metalli e il numero 7 che regola i cicli vitali della settimana e delle fasi lunari e rappresenta saggezza e riflessività.

ARGENTO

L’argento, sostituito dal bianco o grigio chiaro, è il simbolo di speranza, amicizia, purezza e innocenza. L’argento rappresenta la luna, l’acqua, l’infanzia umana, la preziosità della perla, dell’argento stesso e il numero 2 simbolo della collaborazione e della sensibilità.

AZZURRO

L’azzurro è il colore del cielo sereno a mezzogiorno profuso di luce solare che ci protegge. Significa giustizia, gloria, virtù, decisione e volontà. L’azzurro è associato al divino, al paradiso, all’aria, alla fanciullezza umana, al pianeta Giove, allo zaffiro, al metallo stagno e al numero 6 connesso alla famiglia, alla fedeltà e all’amore.

PORPORA

Il porpora, a volte sostituito dal viola, rappresenta la temperanza, la dignità, la signorilità, l’età umana avanzata, il pianeta Mercurio, l’ametista, l’argento vivo, il colore episcopale e il numero 4.

VERDE

Il verde è il simbolo della terra, dell’ambiente, della natura e dell’abbondanza quindi richiama opulenza, onore, vittoria e rettitudine. Rappresenta la Fortezza, il pianeta Venere, la giovinezza del terzo decennio umano, lo smeraldo, il piombo e il numero 5 quello della solidità strutturata, del lavoro e della forza d’animo.

ROSSO

Il rosso è il colore del sangue simbolo di coraggio, valore e di indomita volontà di combattere senza mai arrendersi. Rappresenta la Carità, la nobiltà d’animo che difende i deboli, il fuoco, l’età adulta, il pianeta Marte, il rubino, il rame e il 3 numero associato alla creatività, alla fantasia, alla comunicazione estroversa.

NERO

Il nero rappresenta il dolore, la malattia, la malinconia e il lutto familiare. Il significato positivo è associato a Prudenza, fedeltà e dedizione alla famiglia, alle persone e alle cause nobili. È associato all’elemento terra, a Saturno, al diamante, all’ultima età umana, al ferro e al numero 1 cioè l’inizio, la creazione, l’energia e il coraggio .

Quando in un emblema compaiono colori diversi i loro significati si fondono esaltandone reciprocamente le caratteistiche.

Stemmi nobiliari laici ed ecclesiastici

Il rapporto fra Chiesa e Nobiltà è antichissimo ma profondamente sbilanciato a favore della parte religiosa.

Il vescovo è il capo della comunità religiosa locale e nel Medioevo molti vescovi potevano contare su castelli, presidi e anche piccoli eserciti e venivano tenuti, per questo, nella più grande considerazione da nobili e re che li utilizzavano per controllare il territorio e fornire aiuti militari in caso di conflitto.

La prima regola contadina non divide mai la terra neppure fra eredi per non impoverire i latifondi. Tutte le proprietà terriere andavano al primogenito che entrava in possesso dell’intera eredità terriera inducendo i fratelli minori secondi in linea di successione a cercare fortuna come capitani di ventura o ecclesiastici.

Provenendo da famiglie ricche e nobili i fratelli minori che sceglievano la carriera clericale diventavano subito alti prelati o vescovi acquisendo rapidamente potere.

In una società maschilista le figlie venivano prese in considerazione solo come “oggetti” da dare in sposa per creare o consolidare alleanze e non partecipavano praticamente mai alla successione ereditaria.

Quando il primogenito moriva di malattia o veniva ucciso anche un clerico poteva ereditare le ricchezze, il potere e i possedimenti terrieri della famiglia divenendo un vescovo o un prelato ancora più importante e potente.

Il vescovo è sempre stato un principe della Chiesa, dotato di un lignaggio liturgico ben superiore a quello dei nobili conferitogli dal potere liturgico che gli consentiva di ordinare re, imperatori, principi, nobili e cavalieri inglobandoli nella nobiltà nera cioè quella che proveniva dalla Chiesa. A differenza di quelli bianchi i nobili neri venivano ordinati dal vescovo senza necessità di possedere antichi lignaggi e storie familiari importanti potendo venire creati anche senza tradizioni alle spalle.

Il Fons honorum del primate che guida la sua Chiesa deriva direttamente dal re dei re attraverso gli Apostoli, certificato da una successione apostolica valida e ininterrotta.

Le Patenti di Nobiltà derivanti dalla Chiesa, non dovevano per forza avere discendenza e lignaggio familiare particolari perché il vescovo/primate poteva nominarli ordinandoli liturgicamente a propria discrezione.

Il vescovo/primate, inoltre, aveva il potere di scomunicare togliendo di fatto ogni potere al nobile che veniva privato della capacità di farsi obbedire e rispettare dai propri sudditi, oltre al fatto che la scomunica impedisce l’accesso ai Sacramenti e ai Sacramentali e al trapasso vieta il funerale religioso e la tumulazione in terra sacra chiudendo, in pratica, l’accesso al paradiso condannando alla dannazione eterna senza scampo.

Il potere del vescovo/primate era immenso e, prudentemente, il vescovo manteneva sempre un basso profilo tenendosi in disparte non per umiltà ma per la propria sicurezza.

Nel Medioevo quando il potere di una persona diveniva troppo grande la soluzione era quasi sempre la sua uccisione e lo sterminio della sua famiglia per evitare ritorsioni e vendette.

Tutto questo veniva però palesato negli stemmi. Quando un vescovo era anche nobile possedeva due stemmi ma quello ecclesiale era sempre preminente su quello laico familiare presentato a lato e in sottordine in dimensioni inferiori.

Il mondo anglicano costituisce inizialmente un’eccezione in quanto in Inghilterra e nell’impero inglese la nobiltà è molto apprezzata e la stessa Chiesa d’Inghilterra nasce da un re e con a capo un re.

Dopo Enrico VIII i re e le regine successive vedono però il loro potere sulla Chiesa Inglese costantemente ridimensionato e, in qualche caso, annullato nella sostanza anche se non formalmente.

Tuttavia ci sono vescovi-duchi che inseriscono le tre fragole rosse (simbolo del duca britannico) nel loro stemma ecclesiastico creando una commistione fra i propri titoli pur rimanendo quello laico sempre in subordine.

I titoli nobiliari

Il primo e più antico titolo di nobiltà è quello episcopale cioè di principe della Chiesa che per il Cristianesimo nasce nel primo secolo.

Il vescovo è la guida e il capo della Comunità religiosa cristiana che a lui fa riferimento spirituale e materiale.

Tutte le Chiese Cristiane sono autocefale in quanto riconoscono un unico capo in nostro Signore che esorta subito gli Apostoli a dar vita a Comunità Cristiane locali snelle, efficienti e indipendenti fra loro.

Quando le comunità diocesane o esarchiche diventano di importanza maggiore per aggregazione o scissione diventano una Chiesa autonoma entro il quadro generale dell’unica, santa, cattolica e apostolica Chiesa universale cristiana.

La guida di ogni Chiesa è il proprio primate cioè il primo fra i vescovi che è, ad ogni effetto, un Capo di Stato anche quando non vanta diritti territoriali. Recentemente l’O.N.U. ha definito Chiese e Ordini entità sovrane senza territorio stabilendo un principio giuridico ben preciso.

Solo molto più tardi, dopo oltre un millennio, nel dodicesimo – tredicesimo secolo, appaiono i primi titoli nobiliari laici che inizialmente sono soltanto quattro:

Successivamente la gerarchia viene ampliata e diversificata inserendo il marchese fra il duca e il conte. Poi il visconte viene aggiunto come conte in predicato e la gerarchia viene completata dal barone che supera il cavaliere in ragione dei propri possedimenti e ricchezze.

Ma i titoli nobiliari ecclesiastici rimangono sempre molto più antichi rispetto a quelli laici e in araldica il primo e più importante requisito è proprio l’antichità della discendenza alla quale seguono in ordine di importanza il lustro storico e il prestigio delle posizioni e delle cariche ricoperte e, infine, le capacità finanziarie in termini di possedimenti e ricchezze.

Ai nobili la Patente viene concessa dall’imperatore, dal re o dal principe con un passaggio di poteri fra uomini, mentre i nobili della Chiesa vengono creati con l’Ordine Sacro considerato un Sacramento dai Cristiani Romani e Ortodossi e un Sacramentale da quelli Anglicani.

L’Ordinazione trasferisce la regalità di nostro Signore attraverso l’opera dello Spirito Santo e nessun trasferimento laico può essere lontanamente paragonabile ad un passaggio trascendente e Divino di poteri.

Attraverso l‘Ordinazione la missione affidata agli Apostoli continua ad essere esercitata nella Chiesa perennemente e non esiste per i Cristiani discendenza più autorevole di quella voluta da nostro Signore il cui Fons honorum è unico e indiscutibile collocabile solo al vertice della piramide.

La Chiesa Cristiana Romana definisce in dettaglio il Sacramento dell’Ordine all’articolo VI° del suo Catechismo attualmente online (https://www.vatican.va/archive/catechism_it/p2s2c3a6_it.htm) che riportiamo integralmente nelle pagine successive per dar modo di valutare le sue implicazioni liturgiche e nobiliari.

1536 L’Ordine è il sacramento grazie al quale la missione affidata da Cristo ai suoi Apostoli continua ad essere esercitata nella Chiesa sino alla fine dei tempi: è, dunque, il sacramento del ministero apostolico. Comporta tre gradi: l’Episcopato, il presbiterato e il diaconato.

I. Perché il nome di sacramento dell’Ordine?

1537 La parola Ordine, nell’antichità romana, designava corpi costituiti in senso civile, soprattutto il corpo di coloro che governano. « Ordinatio » – ordinazione – indica l’integrazione in un « ordo » – ordine –. Nella Chiesa ci sono corpi costituiti che la Tradizione, non senza fondamenti scritturistici, chiama sin dai tempi antichi con il nome di táxeis (in greco), di ordines: così la liturgia parla dell’« ordo Episcoporum » – ordine dei Vescovi –, dell’« ordo presbyterorum » – ordine dei presbiteri –, dell’« ordo diaconorum » – ordine dei diaconi. Anche altri gruppi ricevono questo nome di « ordo »: i catecumeni, le vergini, gli sposi, le vedove…

1538 L’integrazione in uno di questi corpi ecclesiali avveniva con un rito chiamato ordinatio, atto religioso e liturgico che consisteva in una consacrazione, una benedizione o un sacramento. Oggi la parola « ordinatio » è riservata all’atto sacramentale che integra nell’ordine dei Vescovi, dei presbiteri e dei diaconi e che va al di là di una semplice elezione, designazione, delega o istituzione da parte della comunità, poiché conferisce un dono dello Spirito Santo che permette di esercitare una potestà sacra (« sacra potestas »), la quale non può venire che da Cristo stesso, mediante la sua Chiesa. L’ordinazione è chiamata anche « consecratio » – consacrazione – poiché è una separazione e una investitura da parte di Cristo stesso, per la sua Chiesa. L’imposizione delle mani del Vescovo, insieme con la preghiera consacratoria, costituisce il segno visibile di tale consacrazione.

II. Il sacramento dell’Ordine nell’Economia della salvezza

Il sacerdozio dell’Antica Alleanza

1539 Il popolo eletto fu costituito da Dio come « un regno di sacerdoti e una nazione santa » (Es 19,6). Ma, all’interno del popolo di Israele, Dio scelse una delle dodici tribù, quella di Levi, riservandola per il servizio liturgico; Dio stesso è la sua parte di eredità. Un rito proprio ha consacrato le origini del sacerdozio dell’Antica Alleanza. In essa i sacerdoti sono costituiti « per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati ».

1540 Istituito per annunciare la parola di Dio e per ristabilire la comunione con Dio mediante i sacrifici e la preghiera, tale sacerdozio resta tuttavia impotente a operare la salvezza, avendo bisogno di offrire continuamente sacrifici e non potendo portare ad una santificazione definitiva, che soltanto il sacrificio di Cristo avrebbe operato.

1541 La liturgia della Chiesa vede tuttavia nel sacerdozio di Aronne e nel servizio dei leviti, come pure nell’istituzione dei settanta « Anziani », prefigurazioni del ministero ordinato della Nuova Alleanza. Così, nel rito latino, la Chiesa si esprime nella preghiera consacratoria dell’ordinazione dei Vescovi:

« O Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, […] con la parola di salvezza hai dato norme di vita nella tua Chiesa: tu, dal principio, hai eletto Abramo come padre dei giusti, hai costituito capi e sacerdoti per non lasciare mai senza ministero il tuo santuario… ».

1542 Nell’ordinazione dei sacerdoti, la Chiesa prega:

« Signore, Padre santo, […] nell’Antica Alleanza presero forma e figura vari uffici istituiti per il servizio liturgico. A Mosè e ad Aronne, da te prescelti per reggere e santificare il tuo popolo, associasti collaboratori che li seguivano nel grado e nella dignità. Nel cammino dell’esodo comunicasti a settanta uomini saggi e prudenti lo spirito di Mosè tuo servo […]. Tu rendesti partecipi i figli di Aronne della pienezza del loro padre ».

1543 E nella preghiera consacratoria per l’ordinazione dei diaconi, la Chiesa confessa:

« Dio onnipotente, […] tu hai formato la Chiesa […]; hai disposto che mediante i tre gradi del ministero da te istituito cresca e si edifichi il nuovo tempio, come in antico scegliesti i figli di Levi a servizio del tabernacolo santo ».

L’unico sacerdozio di Cristo

1544 Tutte le prefigurazioni del sacerdozio dell’Antica Alleanza trovano il loro compimento in Cristo Gesù, « unico […] mediatore tra Dio e gli uomini » (1 Tm 2,5). Melchisedek, « sacerdote del Dio altissimo » (Gn 14,18), è considerato dalla Tradizione cristiana come una prefigurazione del sacerdozio di Cristo, unico « sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek » (Eb 5,10; 6,20), « santo, innocente, senza macchia » (Eb 7,26), il quale « con un’unica oblazione […] ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati » (Eb 10,14), cioè con l’unico sacrificio della sua croce.

1545 Il sacrificio redentore di Cristo è unico, compiuto una volta per tutte. Tuttavia è reso presente nel sacrificio eucaristico della Chiesa. Lo stesso vale per l’unico sacerdozio di Cristo: esso è reso presente dal sacerdozio ministeriale senza che venga diminuita l’unicità del sacerdozio di Cristo. « Infatti solo Cristo è il vero Sacerdote, mentre gli altri sono i suoi ministri ».

Due partecipazioni all’unico sacerdozio di Cristo

1546 Cristo, Sommo Sacerdote e unico mediatore, ha fatto della Chiesa un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre. Tutta la comunità dei credenti è, come tale, sacerdotale. I fedeli esercitano il loro sacerdozio battesimale attraverso la partecipazione, ciascuno secondo la vocazione sua propria, alla missione di Cristo, Sacerdote, Profeta e Re. È per mezzo dei sacramenti del Battesimo e della Confermazione che i fedeli « vengono consacrati a formare […] un sacerdozio santo ».

1547 Il sacerdozio ministeriale o gerarchico dei Vescovi e dei sacerdoti e il sacerdozio comune di tutti i fedeli, anche se « l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano all’unico sacerdozio di Cristo », differiscono tuttavia essenzialmente, pur essendo « ordinati l’uno all’altro ». In che senso? Mentre il sacerdozio comune dei fedeli si realizza nello sviluppo della grazia battesimale – vita di fede, di speranza e di carità, vita secondo lo Spirito –, il sacerdozio ministeriale è al servizio del sacerdozio comune, è relativo allo sviluppo della grazia battesimale di tutti i cristiani. È uno dei mezzi con i quali Cristo continua a costruire e a guidare la sua Chiesa. Proprio per questo motivo viene trasmesso mediante un sacramento specifico, il sacramento dell’Ordine.

In persona di Cristo Capo

1548 Nel servizio ecclesiale del ministero ordinato è Cristo stesso che è presente alla sua Chiesa in quanto Capo del suo corpo, Pastore del suo gregge, Sommo Sacerdote del sacrificio redentore, Maestro di verità. È ciò che la Chiesa esprime dicendo che il sacerdote, in virtù del sacramento dell’Ordine, agisce « in persona Christi Capitis » – in persona di Cristo Capo:

« È il medesimo Sacerdote, Cristo Gesù, di cui realmente il ministro fa le veci. Costui se, in forza della consacrazione sacerdotale che ha ricevuto, è in verità assimilato al Sommo Sacerdote, gode della potestà di agire con la potenza dello stesso Cristo che rappresenta (“virtute ac persona ipsius Christi”) ».

« Cristo è la fonte di ogni sacerdozio: infatti il sacerdote della Legge [antica] era figura di lui, mentre il sacerdote della nuova Legge agisce in persona di lui ».

1549 Attraverso il ministero ordinato, specialmente dei Vescovi e dei sacerdoti, la presenza di Cristo quale Capo della Chiesa è resa visibile in mezzo alla comunità dei credenti. Secondo la bella espressione di sant’Ignazio di Antiochia, il Vescovo è typos tou Patrós, come l’immagine vivente di Dio Padre.

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1550 Questa presenza di Cristo nel ministro non deve essere intesa come se costui fosse premunito contro ogni debolezza umana, lo spirito di dominio, gli errori, persino il peccato. La forza dello Spirito Santo non garantisce nello stesso modo tutti gli atti dei ministri. Mentre nell’amministrazione dei sacramenti viene data questa garanzia, così che neppure il peccato del ministro può impedire il frutto della grazia, esistono molti altri atti in cui l’impronta umana del ministro lascia tracce che non sono sempre segno della fedeltà al Vangelo e che di conseguenza possono nuocere alla fecondità apostolica della Chiesa.

1551 Questo sacerdozio è ministeriale. « Questo ufficio che il Signore ha affidato ai Pastori del suo popolo è un vero servizio ». Esso è interamente riferito a Cristo e agli uomini. Dipende interamente da Cristo e dal suo unico sacerdozio ed è stato istituito in favore degli uomini e della comunità della Chiesa. Il sacramento dell’Ordine comunica « una potestà sacra », che è precisamente quella di Cristo. L’esercizio di tale autorità deve dunque misurarsi sul modello di Cristo, che per amore si è fatto l’ultimo e il servo di tutti. « Il Signore ha esplicitamente detto che la sollecitudine per il suo gregge era una prova di amore verso di lui ».

… «a nome di tutta la Chiesa»

1552 Il sacerdozio ministeriale non ha solamente il compito di rappresentare Cristo – Capo della Chiesa – di fronte all’assemblea dei fedeli; esso agisce anche a nome di tutta la Chiesa allorché presenta a Dio la preghiera della Chiesa e soprattutto quando offre il sacrificio eucaristico.

1553 « A nome di tutta la Chiesa ». Ciò non significa che i sacerdoti siano i delegati della comunità. La preghiera e l’offerta della Chiesa sono inseparabili dalla preghiera e dall’offerta di Cristo, suo Capo. È sempre il culto di Cristo nella sua Chiesa e per mezzo di essa. È tutta la Chiesa, corpo di Cristo, che prega e si offre, « per ipsum et cum ipso et in ipso » – per lui, con lui e in lui – nell’unità dello Spirito Santo, a Dio Padre. Tutto il corpo, « Caput et membra » – Capo e membra – prega e si offre; per questo coloro che, nel corpo, sono suoi ministri in senso proprio, vengono chiamati ministri non solo di Cristo, ma anche della Chiesa. Proprio perché rappresenta Cristo, il sacerdozio ministeriale può rappresentare la Chiesa.

III. I tre gradi del sacramento dell’Ordine

1554 « Il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi ordini da quelli che già anticamente sono chiamati Vescovi, presbiteri, diaconi ». 169 La dottrina cattolica, espressa nella liturgia, nel Magistero e nella pratica costante della Chiesa, riconosce che esistono due gradi di partecipazione ministeriale al sacerdozio di Cristo: l’Episcopato e il presbiterato. Il diaconato è finalizzato al loro aiuto e al loro servizio. Per questo il termine « sacerdos » – sacerdote – designa, nell’uso attuale, i Vescovi e i presbiteri, ma non i diaconi. Tuttavia, la dottrina cattolica insegna che i gradi di partecipazione sacerdotale (Episcopato e presbiterato) e il grado di servizio (diaconato) sono tutti e tre conferiti da un atto sacramentale chiamato « ordinazione », cioè dal sacramento dell’Ordine:

« Tutti rispettino i diaconi come lo stesso Gesù Cristo, e il Vescovo come l’immagine del Padre, e i presbiteri come senato di Dio e come collegio apostolico: senza di loro non c’è Chiesa ».

L’ordinazione episcopale – pienezza del sacramento dell’Ordine

1555 « Fra i vari ministeri che fin dai primi tempi si esercitano nella Chiesa, secondo la testimonianza della tradizione, tiene il primo posto l’ufficio di quelli che, costituiti nell’Episcopato, per successione che risale all’origine, possiedono i tralci del seme apostolico ».

1556 Per adempiere alla loro alta missione, « gli Apostoli sono stati arricchiti da Cristo con una speciale effusione dello Spirito Santo discendente su loro, ed essi stessi, con l’imposizione delle mani, hanno trasmesso questo dono dello Spirito ai loro collaboratori, dono che è stato trasmesso fino a noi nella consacrazione episcopale ».

1557 Il Concilio Vaticano II insegna che « con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’Ordine, quella cioè che dalla consuetudine liturgica della Chiesa e dalla voce dei santi Padri viene chiamata sommo sacerdozio, vertice [“summa”] del sacro ministero ».

1558 « La consacrazione episcopale conferisce pure, con l’ufficio di santificare, gli uffici di insegnare e di governare […]. Infatti […] con l’imposizione delle mani e con le parole della consacrazione la grazia dello Spirito Santo viene conferita e viene impresso un sacro carattere, in maniera che i Vescovi, in modo eminente e visibile, sostengano le parti dello stesso Cristo Maestro, Pastore e Pontefice, e agiscano in sua persona [“in Eius persona agant”] ». « Perciò i Vescovi, per virtù dello Spirito Santo, che loro è stato dato, sono divenuti veri e autentici Maestri della fede, Pontefici e Pastori ».

1559 « Uno viene costituito membro del Corpo episcopale in virtù della consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica col capo del Collegio e con i membri ». Il carattere e la natura collegiale dell’ordine episcopale si manifestano, tra l’altro, nell’antica prassi della Chiesa che per la consacrazione di un nuovo Vescovo vuole la partecipazione di più Vescovi. Per l’ordinazione legittima di un Vescovo, oggi è richiesto un intervento speciale del Vescovo di Roma, per il fatto che egli è il supremo vincolo visibile della comunione delle Chiese particolari nell’unica Chiesa e il garante della loro libertà.

1560 Ogni Vescovo ha, quale vicario di Cristo, l’ufficio pastorale della Chiesa particolare che gli è stata affidata, ma nello stesso tempo porta collegialmente con tutti i fratelli nell’Episcopato la sollecitudine per tutte le Chiese: «Se ogni Vescovo è propriamente Pastore soltanto della porzione del gregge affidata alle sue cure, la sua qualità di legittimo successore degli Apostoli, per istituzione divina, lo rende solidalmente responsabile della missione apostolica della Chiesa».

1561 Quanto è stato detto spiega perché l’Eucaristia celebrata dal Vescovo ha un significato tutto speciale come espressione della Chiesa riunita attorno all’altare sotto la presidenza di colui che rappresenta visibilmente Cristo, Buon Pastore e Capo della sua Chiesa.

L’ordinazione dei presbiteri – cooperatori dei Vescovi

1562 « Cristo, consacrato e mandato nel mondo dal Padre, per mezzo dei suoi Apostoli ha reso partecipi della sua consacrazione e della sua missione i loro successori, cioè i Vescovi, i quali hanno legittimamente affidato, secondo diversi gradi, l’ufficio del loro ministero a vari soggetti nella Chiesa ». « La [loro] funzione ministeriale fu trasmessa in grado subordinato ai presbiteri, affinché questi, costituiti nell’ordine del presbiterato, fossero cooperatori dell’ordine episcopale, per il retto assolvimento della missione apostolica affidata da Cristo ».

1563 « La funzione dei presbiteri, in quanto strettamente unita all’ordine episcopale, partecipa dell’autorità con la quale Cristo stesso fa crescere, santifica e governa il proprio corpo. Per questo motivo, il sacerdozio dei presbiteri, pur presupponendo i sacramenti dell’iniziazione cristiana, viene conferito da quel particolare sacramento per il quale i presbiteri, in virtù dell’unzione dello Spirito Santo, sono segnati da uno speciale carattere che li configura a Cristo Sacerdote, in modo da poter agire in nome e nella persona di Cristo Capo ».

1564 « I presbiteri, pur non possedendo il vertice del sacerdozio e dipendendo dai Vescovi nell’esercizio della loro potestà, sono tuttavia a loro uniti nell’onore sacerdotale e in virtù del sacramento dell’Ordine, a immagine di Cristo, Sommo ed eterno Sacerdote, sono consacrati per predicare il Vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento ».

1565 In virtù del sacramento dell’Ordine i sacerdoti partecipano alla dimensione universale della missione affidata da Cristo agli Apostoli. Il dono spirituale che hanno ricevuto nell’ordinazione non li prepara ad una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di salvezza, « fino agli ultimi confini della terra » (At 1,8), « pronti nel loro animo a predicare dovunque il Vangelo ».

1566 Essi « soprattutto esercitano la loro funzione sacra nel culto o assemblea eucaristica, dove, agendo in persona di Cristo, e proclamando il suo mistero, uniscono i voti dei fedeli al sacrificio del loro Capo e nel sacrificio della Messa rendono presente e applicano, fino alla venuta del Signore, l’unico sacrificio del Nuovo Testamento, il sacrificio cioè di Cristo, che una volta per tutte si offre al Padre quale vittima immacolata ». Da questo unico sacrificio tutto il loro ministero sacerdotale trae la sua forza.

1567 « I presbiteri, saggi collaboratori dell’ordine episcopale e suo aiuto e strumento, chiamati al servizio del popolo di Dio, costituiscono col loro Vescovo un unico presbiterio, sebbene destinato a uffici diversi. Nelle singole comunità locali di fedeli rendono, per così dire, presente il Vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e grande, condividono in parte le sue funzioni e la sua sollecitudine e le esercitano con dedizione quotidiana ». I sacerdoti non possono esercitare il loro ministero se non in dipendenza dal Vescovo e in comunione con lui. La promessa di obbedienza che fanno al Vescovo al momento dell’ordinazione e il bacio di pace del Vescovo al termine della liturgia dell’ordinazione significano che il Vescovo li considera come suoi collaboratori, suoi figli, suoi fratelli e suoi amici, e che, in cambio, essi gli devono amore e obbedienza.

1568 « I presbiteri, costituiti nell’ordine del presbiterato mediante l’ordinazione, sono tutti tra loro uniti da intima fraternità sacramentale; ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio nella diocesi al cui servizio sono assegnati sotto il proprio Vescovo ». L’unità del presbiterio trova un’espressione liturgica nella consuetudine secondo la quale, durante il rito dell’ordinazione, i presbiteri, dopo il Vescovo, impongono anch’essi le mani.

L’ordinazione dei diaconi – « per il servizio »

1569 « In un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani “non per il sacerdozio, ma per il servizio” ». Per l’ordinazione al diaconato soltanto il Vescovo impone le mani, significando così che il diacono è legato in modo speciale al Vescovo nei compiti della sua « diaconia ».

1570 I diaconi partecipano in una maniera particolare alla missione e alla grazia di Cristo. Il sacramento dell’Ordine imprime in loro un sigillo (« carattere ») che nulla può cancellare e che li configura a Cristo, il quale si è fatto « diacono », cioè servo di tutti. Compete ai diaconi, tra l’altro, assistere il Vescovo e i presbiteri nella celebrazione dei divini misteri, soprattutto dell’Eucaristia, distribuirla, assistere e benedire il Matrimonio, proclamare il Vangelo e predicare, presiedere ai funerali e dedicarsi ai vari servizi della carità.

1571 Dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa latina ha ripristinato il diaconato « come un grado proprio e permanente della gerarchia », mentre le Chiese d’Oriente lo avevano sempre conservato. Il diaconato permanente, che può essere conferito a uomini sposati, costituisce un importante arricchimento per la missione della Chiesa. In realtà, è conveniente e utile che gli uomini che nella Chiesa adempiono un ministero veramente diaconale, sia nella vita liturgica e pastorale, sia nelle opere sociali e caritative « siano fortificati per mezzo dell’imposizione delle mani, trasmessa dal tempo degli Apostoli, e siano più strettamente uniti all’altare, per poter esplicare più fruttuosamente il loro ministero con l’aiuto della grazia sacramentale del diaconato ».

IV. La celebrazione di questo sacramento

1572 La celebrazione dell’ordinazione di un Vescovo, di presbiteri o di diaconi, data la sua importanza per la vita della Chiesa particolare, richiede il concorso del maggior numero possibile di fedeli. Avrà luogo preferibilmente la domenica e nella cattedrale, con quella solennità che si addice alla circostanza. Le tre ordinazioni, del Vescovo, del presbitero, e del diacono, hanno la medesima configurazione. Il loro posto è in seno alla liturgia eucaristica.

1573 Il rito essenziale del sacramento dell’Ordine è costituito, per i tre gradi, dall’imposizione delle mani, da parte del Vescovo, sul capo dell’ordinando come pure dalla specifica preghiera consacratoria che domanda a Dio l’effusione dello Spirito Santo e dei suoi doni adatti al ministero per il quale il candidato viene ordinato.

1574 Come in tutti i sacramenti, accompagnano la celebrazione alcuni riti annessi. Pur variando notevolmente nelle diverse tradizioni liturgiche, essi hanno in comune la proprietà di esprimere i molteplici aspetti della grazia sacramentale. Così, nel rito latino, i riti di introduzione – la presentazione e l’elezione dell’ordinando, l’omelia del Vescovo, l’interrogazione dell’ordinando, le litanie dei santi – attestano che la scelta del candidato è stata fatta in conformità alla prassi della Chiesa e preparano l’atto solenne della consacrazione. A questa fanno seguito altri riti che esprimono e completano in maniera simbolica il mistero che si è compiuto: per il Vescovo e il presbitero l’unzione del santo crisma, segno dell’unzione speciale dello Spirito Santo che rende fecondo il loro ministero; la consegna del libro dei Vangeli, dell’anello, della mitra e del pastorale al Vescovo, come segno della sua missione apostolica di annunziare la Parola di Dio, della sua fedeltà alla Chiesa, Sposa di Cristo, del suo compito di Pastore del gregge del Signore; la consegna, al sacerdote, della patena e del calice, l’offerta del popolo santo, che egli è chiamato a presentare a Dio; la consegna del libro dei Vangeli al diacono, che ha ricevuto la missione di annunziare il Vangelo di Cristo.

V. Chi può conferire questo sacramento?

1575 È Cristo che ha scelto gli Apostoli e li ha resi partecipi della sua missione e della sua autorità. Innalzato alla destra del Padre, non abbandona il suo gregge, ma lo custodisce e lo protegge sempre per mezzo degli Apostoli e ancora lo conduce sotto la guida di quegli stessi Pastori che continuano oggi la sua opera. È dunque Cristo che stabilisce alcuni come Apostoli, altri come Pastori. Egli continua ad agire per mezzo dei Vescovi.

1576 Poiché il sacramento dell’Ordine è il sacramento del ministero apostolico, spetta ai Vescovi in quanto successori degli Apostoli trasmettere « questo dono dello Spirito », « il seme apostolico ». I Vescovi validamente ordinati, che sono cioè nella linea della successione apostolica, conferiscono validamente i tre gradi del sacramento dell’Ordine.

VI. Chi può ricevere questo sacramento?

1577 « Riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso maschile [“vir”] ». Il Signore Gesù ha scelto uomini [“viri”] per formare il collegio dei dodici Apostoli, e gli Apostoli hanno fatto lo stesso quando hanno scelto i collaboratori che sarebbero loro succeduti nel ministero. Il collegio dei Vescovi, con i quali i presbiteri sono uniti nel sacerdozio, rende presente e attualizza fino al ritorno di Cristo il collegio dei Dodici. La Chiesa si riconosce vincolata da questa scelta fatta dal Signore stesso. Per questo motivo l’ordinazione delle donne non è possibile.

1578 Nessuno ha un diritto a ricevere il sacramento dell’Ordine. Infatti nessuno può attribuire a se stesso questo ufficio. Ad esso si è chiamati da Dio. Chi crede di riconoscere i segni della chiamata di Dio al ministero ordinato, deve sottomettere umilmente il proprio desiderio all’autorità della Chiesa, alla quale spetta la responsabilità e il diritto di chiamare qualcuno a ricevere gli Ordini. Come ogni grazia, questo sacramento non può essere ricevuto che come dono immeritato.

1579 Tutti i ministri ordinati della Chiesa latina, ad eccezione dei diaconi permanenti, sono normalmente scelti fra gli uomini credenti che vivono da celibi e che intendono conservare il celibato « per il regno dei cieli » (Mt 19,12). Chiamati a consacrarsi con cuore indiviso al Signore e alle « sue cose », essi si donano interamente a Dio e agli uomini. Il celibato è un segno di questa vita nuova al cui servizio il ministro della Chiesa viene consacrato; abbracciato con cuore gioioso, esso annuncia in modo radioso il regno di Dio.

1580 Nelle Chiese Orientali, da secoli, è in vigore una disciplina diversa: mentre i Vescovi sono scelti unicamente fra coloro che vivono nel celibato, uomini sposati possono essere ordinati diaconi e presbiteri. Tale prassi è da molto tempo considerata come legittima; questi presbiteri esercitano un ministero fruttuoso in seno alle loro comunità. D’altro canto il celibato dei presbiteri è in grande onore nelle Chiese Orientali, e numerosi sono i presbiteri che l’hanno scelto liberamente, per il regno di Dio. In Oriente come in Occidente, chi ha ricevuto il sacramento dell’Ordine non può più sposarsi.

VII. Gli effetti del sacramento dell’Ordine

Il carattere indelebile

1581 Questo sacramento configura a Cristo in forza di una grazia speciale dello Spirito Santo, allo scopo di servire da strumento di Cristo per la sua Chiesa. Per mezzo dell’ordinazione si viene abilitati ad agire come rappresentanti di Cristo, Capo della Chiesa, nella sua triplice funzione di sacerdote, profeta e re.

1582 Come nel caso del Battesimo e della Confermazione, questa partecipazione alla funzione di Cristo è accordata una volta per tutte. Il sacramento dell’Ordine conferisce, anch’esso, un carattere spirituale indelebile e non può essere ripetuto né essere conferito per un tempo limitato.

1583 Un soggetto validamente ordinato può, certo, per gravi motivi, essere dispensato dagli obblighi e dalle funzioni connessi all’ordinazione o gli può essere fatto divieto di esercitarli, ma non può più ridiventare laico in senso stretto, poiché il carattere impresso dall’ordinazione rimane per sempre. La vocazione e la missione ricevute nel giorno della sua ordinazione lo segnano in modo permanente.

1584 Poiché in definitiva è Cristo che agisce e opera la salvezza mediante il ministro ordinato, l’indegnità di costui non impedisce a Cristo di agire. Sant’Agostino lo dice con forza:

« Un ministro superbo va messo assieme al diavolo; ma non per questo viene contaminato il dono di Cristo, che attraverso di lui continua a fluire nella sua purezza e per mezzo di lui arriva limpido a fecondare la terra. […] La virtù spirituale del sacramento è infatti come la luce: giunge pura a coloro che devono essere illuminati e, anche se deve passare attraverso esseri immondi, non viene contaminata ».

La grazia dello Spirito Santo

1585 La grazia dello Spirito Santo propria di questo sacramento consiste in una configurazione a Cristo Sacerdote, Maestro e Pastore del quale l’ordinato è costituito ministro.

1586 Per il Vescovo è innanzi tutto una grazia di fortezza (« Il tuo Spirito che regge e guida »: Preghiera consacratoria del Vescovo nel rito latino: la grazia di guidare e di difendere con forza e prudenza la sua Chiesa come padre e pastore, con un amore gratuito verso tutti e una predilezione per i poveri, gli ammalati e i bisognosi. Questa grazia lo spinge ad annunciare a tutti il Vangelo, ad essere il modello del suo gregge, a precederlo sul cammino della santificazione identificandosi nell’Eucaristia con Cristo Sacerdote e Vittima, senza temere di dare la vita per le sue pecore:

« Concedi, Padre che conosci i cuori, a questo servo che hai scelto per l’Episcopato, di pascere il tuo santo gregge e di esercitare in maniera irreprensibile e in tuo onore la massima dignità sacerdotale, servendoti notte e giorno; di rendere il tuo volto incessantemente propizio e di offrirti i doni della tua santa Chiesa; di avere, in virtù dello spirito del sommo sacerdozio, il potere di rimettere i peccati secondo il tuo comando, di distribuire i compiti secondo la tua volontà e di sciogliere ogni legame in virtù del potere che hai dato agli Apostoli; di esserti accetto per la sua mansuetudine e per la purezza del suo cuore, offrendoti un profumo soave per mezzo di Gesù Cristo tuo Figlio… ».

1587 Il dono spirituale conferito dall’ordinazione presbiterale è espresso da questa preghiera propria del rito bizantino. Il Vescovo, imponendo le mani, dice tra l’altro:

« Signore, riempi di Spirito Santo colui che ti sei degnato di elevare alla dignità sacerdotale, affinché sia degno di stare irreprensibile davanti al tuo altare, di annunciare il Vangelo del tuo regno, di compiere il ministero della tua parola di verità, di offrirti doni e sacrifici spirituali, di rinnovare il tuo popolo mediante il lavacro della rigenerazione; in modo che egli stesso vada incontro al nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo, tuo unico Figlio, nel giorno della sua seconda venuta, e riceva dalla tua immensa bontà la ricompensa di un fedele adempimento del suo ministero ».

1588 Quanto ai diaconi, « sostenuti dalla grazia sacramentale, servono il popolo di Dio nel ministero della liturgia, della parola e della carità, in comunione con il Vescovo e il suo presbiterio ».

1589 Dinanzi alla grandezza della grazia e dell’ufficio sacerdotali, i santi dottori hanno avvertito l’urgente appello alla conversione al fine di corrispondere con tutta la loro vita a colui di cui sono divenuti ministri mediante il sacramento. Così, san Gregorio Nazianzeno, giovanissimo sacerdote, esclama:

« Bisogna cominciare col purificare se stessi prima di purificare gli altri; bisogna essere istruiti per poter istruire; bisogna divenire luce per illuminare, avvicinarsi a Dio per avvicinare a lui gli altri, essere santificati per santificare, condurre per mano e consigliare con intelligenza ». « So di chi siamo i ministri, a quale altezza ci troviamo e chi è colui verso il quale ci dirigiamo. Conosco la grandezza di Dio e la debolezza dell’uomo, ma anche la sua forza ». [Chi è dunque il sacerdote? È] il difensore della verità, « che si eleva con gli angeli, glorifica con gli arcangeli, fa salire sull’altare del cielo le vittime dei sacrifici, condivide il sacerdozio di Cristo, riplasma la creatura, restaura [in essa] l’immagine [di Dio], la ricrea per il mondo di lassù, e, per dire ciò che vi è di più sublime, è divinizzato e divinizza ».

E il santo Curato d’Ars: « È il sacerdote che continua l’opera di redenzione sulla terra ». […] « Se si comprendesse bene il sacerdote qui in terra, si morirebbe non di spavento, ma di amore ». […] « Il sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù ».

In sintesi

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1590 San Paolo dice al suo discepolo Timoteo: « Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani » (2 Tm 1,6), e: « Se uno aspira all’Episcopato, desidera un nobile lavoro » (1 Tm 3,1). A Tito diceva: « Per questo ti ho lasciato a Creta, perché regolassi ciò che rimane da fare e perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato » (Tt 1,5).

1591 Tutta la Chiesa è un popolo sacerdotale. Grazie al battesimo, tutti i fedeli partecipano al sacerdozio di Cristo. Tale partecipazione si chiama « sacerdozio comune dei fedeli ». Sulla sua base e al suo servizio esiste un’altra partecipazione alla missione di Cristo: quella del ministero conferito dal sacramento dell’Ordine, la cui funzione è di servire a nome e in persona di Cristo Capo in mezzo alla comunità.

1592 Il sacerdozio ministeriale differisce essenzialmente dal sacerdozio comune dei fedeli poiché conferisce un potere sacro per il servizio dei fedeli. I ministri ordinati esercitano il loro servizio presso il popolo di Dio attraverso l’insegnamento (munus docendi), il culto divino (munus liturgicum) e il governo pastorale (munus regendi).

1593 Fin dalle origini, il ministero ordinato è stato conferito ed esercitato in tre gradi: quello dei Vescovi, quello dei presbiteri e quello dei diaconi. I ministeri conferiti dall’ordinazione sono insostituibili per la struttura organica della Chiesa: senza il Vescovo, i presbiteri e i diaconi, non si può parlare di Chiesa.

1594 Il Vescovo riceve la pienezza del sacramento dell’Ordine che lo inserisce nel Collegio episcopale e fa di lui il capo visibile della Chiesa particolare che gli è affidata. I Vescovi, in quanto successori degli Apostoli e membri del Collegio, hanno parte alla responsabilità apostolica e alla missione di tutta la Chiesa sotto l’autorità del Papa, Successore di san Pietro.

1595 I presbiteri sono uniti ai Vescovi nella dignità sacerdotale e nello stesso tempo dipendono da essi nell’esercizio delle loro funzioni pastorali; sono chiamati ad essere i saggi collaboratori dei Vescovi; riuniti attorno al loro Vescovo formano il « presbiterio », che insieme con lui porta la responsabilità della Chiesa particolare. Essi ricevono dal Vescovo la responsabilità di una comunità parrocchiale o di una determinata funzione ecclesiale.

1596 I diaconi sono ministri ordinati per gli incarichi di servizio della Chiesa; non ricevono il sacerdozio ministeriale, ma l’ordinazione conferisce loro funzioni importanti nel ministero della parola, del culto divino, del governo pastorale e del servizio della carità, compiti che devono assolvere sotto l’autorità pastorale del loro Vescovo.

1597 Il sacramento dell’Ordine è conferito mediante l’imposizione delle mani seguita da una preghiera consacratoria solenne che chiede a Dio per l’ordinando le grazie dello Spirito Santo richieste per il suo ministero. L’ordinazione imprime un carattere sacramentale indelebile.

1598 La Chiesa conferisce il sacramento dell’Ordine soltanto a uomini (viri) battezzati, le cui attitudini per l’esercizio del ministero sono state debitamente riconosciute. Spetta all’autorità della Chiesa la responsabilità e il diritto di chiamare qualcuno a ricevere gli ordini.

1599 Nella Chiesa latina il sacramento dell’Ordine per il presbiterato è conferito normalmente solo a candidati disposti ad abbracciare liberamente il celibato e che manifestano pubblicamente la loro volontà di osservarlo per amore del regno di Dio e del servizio degli uomini.

1600 Spetta ai Vescovi conferire il sacramento dell’Ordine nei tre gradi.


A differenza delle Patenti di nobiltà che possono essere revocate l’Ordinazione sacerdotale ha carattere indelebile. Il carattere indelebile si trasferisce anche alle Patenti di nobiltà della Chiesa in quanto il Sacramento o il Sacramentale, per grazia dello Spirito Santo, consente di servire come strumento del Signore, ad agire come rappresentanti di Cristo Capo della Chiesa e sacerdote, profeta e re.

Questa capacità viene accordata una volta per tutte e conferisce un carattere spirituale indelebile che non può essere ripetuto né limitato temporalmente.

Ad un ordinato, per gravi motivi, può essere vietato di esercitare le sue funzioni ma non può più ridiventare laico in senso stretto, poiché il carattere impresso in lui dallo Spirito Santo all’ordinazione lo segna permanentemente.

Cristo stesso agisce e opera mediante il ministro ordinato e l’indegnità di costui non impedisce al Signore di agire.

L’ordine di importanza dei titoli nobiliari laici è:

  1. Imperatore (utilizzato solo in Giappone)

  2. Re

  3. Principe

  4. Duca

  5. Marchese

  6. Conte

  7. Visconte

  8. Barone

  9. Cavaliere

Ma quando questi titoli vengono concessi liturgicamente la loro importanza cresce considerevolmente e lo stesso titolo dato con una ordinazione ecclesiale diviene molto più importante e prestigioso.

Fons honorum

Fons honorum è una locuzione latina traducibile come fonte degli onori. Espressione che indica il legittimo diritto di insignire altre persone di titoli nobiliari, cavallereschi o di merito.

Il Fons honorum è una prerogativa di nostro Signore che lo ha trasmesso ai primati di ciascuna Chiesa, alle Case regnanti e ai Capi di Stato che esercitano un mandato “per grazia di Dio” quindi in virtù del principio teologico “omnis potestas a Deo” che può essere tradotto come tutti i poteri appartengono al Signore dato che il potere di Dio, in virtù della sua natura divina, non ha limiti e può essere trasferito attraverso lo Spirito Santo.

La Sovranità dei re comprende quattro diritti fondamentali:

  1. JUS IMPERII o diritto al comando

  2. JUS GLADII o diritto d’imporre l’obbedienza;

  3. JUS MAJESTATIS o diritto all’onore e al rispetto;

  4. JUS HONORUM o diritto di premiare merito e virtù.

Quando un Sovrano viene estromesso dal dominio del territorio snza abdicare o acconsentire in qualche modo, perde i primi due diritti ma conserva, lo jus maiestatis e lo jus honorum, cioè il Fons honorum e la facoltà di creare nobili, ordini cavallereschi e cavalieri.

Il Fons honorum, se non viene estinto abdicando o rinunciando o per acquiescenza ad un nuovo ordine politico (debellatio), è jus sanguinis cioè trasmissibile e perpetuabile per dinastia o per funzione e carica illimitatamente.

Il territorio è oggetto di sovranità ma non costituisce il potere stesso.

Esistono con pieno riconoscimento Personalità Giuridiche Internazionali prive di territorio e Ordini Sovrani senza sudditi e senza territorio.

Tutti i Primati delle Chiese autonome che dispongono di una valida e ininterrotta successione apostolica possiedono la Fons honorum e possono legittimamente conferire titoli e patenti di nobiltà a chi abbia contribuito al bene della Chiesa.

Il Primate della Chiesa è un monarca a tutti gli effetti, un capo di Stato con legittimo Fons honorum anche senza territorio reale.

Al contempo i vescovi sono principi della Chiesa con i due titoli equiparati fra loro quindi i vescovi sono principi ma non dispongono di Fons honorum riservato esclusivamente al primate.

Il Primate può legittimamente creare nobili come cavaliere, barone, visconte, conte, marchese, duca e principe anche femminili come dama, baronessa, viscontessa, contessa, marchesa, duchessa e principessa.

Il potere sovrano del primate gli consente di ungere imperatori, imperatrici, re, regine, principi, principasse con il Sacro Crisma ordinandoli e intronizzandoli.

Solo i clerici di grado elevato come i primati e in qualche caso arcivescovi e vescovi possono intronizzare i reali.

L’ordinazione sacerdotale può essere eseguita dal vescovo mentre l’ordinazione episcopale viene eseguita, tradizionalmente, da almeno tre vescovi oppure dal primate.

L’ordinazione di reali e principi viene eseguita dal primate che, tradizionalmente ma non indispensabilmente, viene assistito da uno o più vescovi mentre l’ordinazione degli altri nobili dal duca sino al cavaliere viene eseguita solo dal primate che può, in ogni caso, avvalersi dell’assistenza di altri vescovi concelebranti. L’ordinazione viene sempre eseguita direttamente dal primate che dispone del Fons honorum e gli eventuali vescovi concelebranti aggiungono risalto alla cerimonia di investitura ma senza condizionarla o risultatare determinanti e indispensabili.

Quando un primate decide di divenire primate emerito lasciando il comando della Chiesa rinuncia al proprio Fons honorum che trasferisce al proprio successore salvo casi eccezionali di amministrazione congiunta o parallela della sovranità.

Il Fons honorum ecclesiale è di maggiore caratura ripetto a quello laico perché l’ordinazione è una consacrazione liturgica benedetta dal Signore che avviene per kirotonia creando un rapporto di obbedienza filiale indissolubile attraverso la trasmissione della Grazia dello Spirito Santo.

La patente di nobiltà e i titoli sono concessi e trasmessi attraverso il Fons honorum per Grazia Divina da:

Imperatori, re e principi anche privati del territorio e della loro sovranità purché in modo non concordatario e, in modo analogo, anche i Capi di Stato anche destituiti purché in modo non concordatario possono rilasciare patenti di nobiltà laiche attraverso legittime investiture.

I primati invece ordinano liturgicamente nel nome di nostro Signore trasferendo la Grazia dello Spirito Santo ad altri clerici o a laici.

Le onorificenze possono essere conferite anche da chi non gode di sovranità territoriale. La perdita della sovranità territoriale comporta la perdita di tutto ciò che si appartiene alla Corona o allo Stato ma mai del patrimonio personale economico e araldico.

Entità Sovrana priva di territorio

Il 24 agosto 1994 le Nazioni Unite accolgono il Sovrano Militare Ordine di Malta quale membro osservatore permanente senza diritto di voto definendolo come una entità Sovrana priva di territorio.

Successivamente questa definizione è stata generalizzata divenendo corretto definire le Case ex regnanti come Entità Sovrane prive di territorio, anche quando non abbiano ottenuto o neppure richiesto la qualifica di membro osservatore dell’Assemblea delle Nazioni Unite.

È quindi corretto definire entità sovrane prive di territorio anche le circa ottomila famiglie esistenti al mondo che in varie epoche regnarono sui propri territori e le Chiese Cristiane autocefale ad eccezione del Vaticano che possiede entità territoriale ma ha rinunciato al proprio Fons honorum decidendo di non creare più nobili.

Un territorio o un’entità Sovrana priva di territorio può diventare uno stato riconosciuto ma non esiste alcun percorso giuridico chiaro per ottenere il riconoscimento della sovranità statale da parte della comunità internazionale.

Il diritto internazionale stabilisce che tutte le nazioni hanno il diritto di determinare lo status politico delle proprie istituzioni. Questo diritto all’autodeterminazione dei popoli è sancito dalla Carta delle Nazioni Unite e chiarito nel Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato nel 1966 ed entrato in vigore nel 1976.

Questo principio giuridico è interpretato come il diritto posseduto da ciascuna popolazione di determinare da chi e come essere governata.

Ma perché un territorio o un’entità sovrana priva di territorio possa dichiararsi uno stato sovrano, un’altra entità dovrà perdere parte del proprio territorio o della propria sovranità.

Quindi il riconoscimento di un nuovo stato significa essenzialmente accettare il trasferimento della sovranità su un territorio da un’autorità a un’altra e nessuno può smembrare e toglere territorio a uno stato senza l’autorizzazione di quest’ultimo perché altrimenti verrebbero ad estinguersi le attuali regole internazionali.

Un’entità priva di territorio può detenere sovranità senza acquisire territori ma non senza acquisire sovranità sottraendola quindi ad altri anche se non territorialmente.

Solo le Chiese in Stati che hanno stabilito l’indipendenza del potere religioso da quello laico possono estendere la sovranità, omnis potestas a Deo, senza trasferimento di territori e neppure di sovranità in quanto in questi casi vengono riconosciuti ambiti diversi, separati e fra loro indipendenti alla sovranità laica e a quella religiosa.

Quindi le Chiese che operano in Stati che riconoscono la totale libertà religiosa possono divenire entità sovrane anche senza formalità e senza ottenere specifiche rinunce da parte dello Stato laico alla sovranità laica disgiunta da quella religiosa nel caso specifico.

Simbologia araldica di base

A parte quelle già trattate le regole di base araldiche sono sostanzialmente simili in campo laico e in campo ecclesiastico ma, come già visto, l’araldica laica nasce solo dopo il XII° secolo mentre quella ecclesiastica nei primi secoli quindi decisamente molto prima.

In Europa le famiglie e le dinastie rilevanti per le cariche pubbliche erano di derivazione ecclesiastica e sin dai primi secoli, caratterizzati da un diffuso analfabetismo che rendeva estremamente difficile se non impossibile riconoscere i nomi, i documenti pubblici venivano firmati con identificativi grafici che riportavano il grado di appartenenza alla casta sacerdotale e i simboli dinastici familiari.

Dal V° secolo quest’uso viene generalizzato divenendo capillare e il sigillo grafico stabilisce l’identità e la carica di chi redige un documento ufficiale sancendone l’autenticità.

Nei primi secoli molte famiglie di origine sacerdotale possiedono tradizioni ebraiche e questo si ritrova nei simboli degli emblemi familiari ancora prima della nascita dell’araldica laica.

Quando l’Impero di Roma comincia a contrarsi i vuoti generati dal ritiro delle legioni romane vengono colmati da nuovi regni e regnanti che utilizzano simboli derivanti dalla tradizione romana o giudaica come il drago, il leone e l’aquila.

Un simbolo di derivazione romana è il drago, mentre il leone è di esclusiva tradizione ebraica. Il leone era il simbolo della stirpe sacerdotale di Giuda che attestava sovranità e regalita. Il drago invece era un simbolo delle legioni romane quindi rappresentava la potenza, la forza e il dominio.

L’aquila era il simbolo delle legioni imperiali romane ma nei simboli viene utilizzata l’aquila asmonea usata largamente nel regno di Giuda quindi l’aquila diviene un simbolo bivalente associata al potere imperiale e del padre degli dei Giove ma anche di derivazione sacerdotale giudaica per discendenza asmonea.

Negli stemmi di derivazione sacerdotale compaiono anche elementi materiali come l’arpa di Davide che sancisce la discendenza sacerdotale giudaica e viene utilizzata in Israele ancora oggi sulle monete. Altri simboli di derivazione sacerdotale sono i monti e la colonna: entrambi sono di derivazione iniziale ebraica ma subito inglobati nella simbologia cristiana con famiglie e gruppi che ne acquisiscono anche il nome. La torre è invece un simbolo legato alle famiglie patrizie e senatoriali romane, è antichissimo e viene utilizzato estesamente in Italia e in Spagna da grandi dinastie molto legate alla Chiesa. Gli scacchi cioè la colorazione di settori a colori alternati vengono utilizzati da papi, famiglie clericali, monasteri e ordini certificandono il legame ecclesiale.

Un simbolo ecclesiastico molto importante è la stella a cinque punte spesso rappresentata come una rosa a cinque petali che compare su emblemi, chiese, ordini e oggetti di culto e derivazione cristiana oltre a costituire elemento grafico centrale dello stemma della Repubblica Italiana dell’Unione Europea e degli Stati Uniti d’America.

Altro simbolo divino è il triangolo singolo e doppio con due triangoli sovrapposti sfalzati che formano la stella ebraica di Davide. I triangoli possono essere dichiarati o occulti cioè formati da tre o sei elementi uguali collocati ai vertici di triangoli virtuali che suggeriscono l’origine sacerdotale dell’emblema.

La stella di Davide viene rappresentata spesso dal giglio elemento che stabilisce la discendenza sacerdotale giudaica e la regalità.

Il simbolo del cristianesimo cioè la croce individua i difensori della fede ma non è un contrassegno di discendenza sacerdotale che viene rimarcato o suggerito da ulteriori elementi che richiamano il triangolo o il numero tre.

In conclusione animali come leoni, aquile e draghi ed elementi come torri, arpe, colonne, monti,settori a scacchi, stelle a cinque punte, rose a cinque petali, triangoli, stelle di Davide e gigli suggeriscono origini sacerdotali dinastiche. Ulteriori indizi di origine sacerdotale familiare sono settori ed elementi presenti in numero di tre o disposti a triangolo singolo o doppio mentre la croce non è da sola un richiamo ad origini sacerdotali se non è completata da altri elementi.

Altri simboli di animali frequentemente utilizzati negli emblemi ecclesiastici sono: l’agnello associato alla croce e alla Bibbia, il toro che denota fierezza assoggettata alle leggi divine, la colomba simbolo dello Spirito Santo e di pace, la rondine e la conchiglia associate ai concetti di pellegrini e pellegrinaggi, lo struzzo simbolo della resurrezione, i pesci e i cetacei associati alla speranza nel Signore, la conchiglia di Santiago che dimostra il pellegrinaggio al famoso santuario o alla Terra Santa, l’ape associata all’operosità e alla speranza, il pellicano associato ad amore e carità, l’allodola associata alla pietà.

In araldica molti elementi vengono spesso utilizzati come armi parlanti in quanto il loro nome richiama direttamente, almeno in parte, il nome del personaggio, del gruppo o della famiglia.

Il prestigio araldico

L’araldica studia le rappresentazioni grafiche utilizzate per distinguere ed identificare persone, gruppi e famiglie in epoche dominate dall’analfabetismo che non potevano affidare un identificazione certa ai nomi che solo pochissimi erano in grado di interpretare.

Gli emblemi araldici in ambito religioso vengono utilizzati sin dai primi secoli mentre gli stemmi in ambito laico prolificano circa mille anni dopo a partire dal XII° secolo.

Questo riflette la differenza di prestigio fra araldica religiosa e laica.

Nostro Signore come Re dei Re affida agli Apostoli e ai loro successori la creazione di titoli di merito, i vescovi sono principi della Chiesa e i primati capi di Stato con ogni diritto derivante dalla loro consacrazioe liturgica.

Quando gli emblemi vengono associati ai titoli nobiliari laici le gerarchie ecclesiali esistono e sono consolidate già da oltre mille anni.

I primati delle Chiese autocefale autonome con successione apostolica valida e ininterrotta hanno il diritto di Ordinare liturgicamente diaconi, sacerdoti, vescovi e creare ordini monastici.

Il Sacramento, Sacramentale per gli Anglicani, dell’Ordinazione può essere esercitato senza discriminazioni e consente di consacrare nobili elevandoli di prestigio, creare ordini cavallereschi aggiungendo peculiarità speciali attraverso la trasmissione, attraverso l’intervento dello Spirito Santo, delle prerogative divine e regali del Re dei Re secondo il principio: omnis potestas a Deo.

Imperatori, re e principi che ricevono l’investitura religiosa acquisiscono una dimensione superiore nella fusione delle caratteristiche laiche e religiose.

Anche gli ordini cavallereschi acquisiscono nuovo prestigio quando assumono caratteristiche monastiche iniziando la stirpe dei monaci cavalieri.

Il Fons honorum attribuisce il diritto di conferire titoli e decorazioni nobiliari e cavalleresche e può essere esercitato da primati e, in ambito laico, da imperatori, re e principi di case regnanti o anche spodestate ma senza abdicazione, acquiescenza, rinuncia o vassallaggio nei confronti del nuovo ordinamento (debellatio) sino a quando conservano il diritto di pretendere al trono.

Il Fons honorum appartiene anche ai capi di Stato Repubblicani in carica.

Giuridicamente secondo le norme internazionali esistono entità sovrane senza territorio perché il territorio è oggetto di sovranità ma mai soggetto in quanto la sovranità può essere esercitata su un territorio ma non deriva dal territorio stesso.

A Roma, dopo la capitolazione dello Stato Pontificio, l’aristocrazia che rimane fedele al Papa Re chiude i palazzi in segno di lutto e indossa paludamenti ufficiali neri di foggia spagnola cominciando ad essere conosciuta come aristocrazia nera in opposizione a quella bianca che accetta il nuovo status dello Stato Italiano.

Lo Stato Vaticano è un’entità territoriale e fino al 1968 mantiene una corte e una struttura feudale alla quale Papa Paolo VI° decide di rinunciare insieme alla creazione di nobili pontifici come faranno i suoi successori ad eccezione di Giovanni Paolo II° che concede titoli nobiliari a compatrioti polacchi.

In conclusione l’araldica nasce nella Chiesa Cristiana e solo dopo mille anni circa appare in ambito laico con peculiarità limitate rispetto a quelle religiose.

La distinzione fra aristocrazia religiosa e laica è essenziale in quanto le patenti di nobiltà ordinate liturgicamente forniscono prerogative di molto superiori rispetto a quelle laiche e i nobili della Chiesa godono dell’investitura sacrale concessa dai successori del Re dei Re.

Il Cristianesimo è la religione della condivisione quindi unire il potere di Primati e Sovrani è fondamentale per elevare Ordini e Nobili fondendo le caratteristiche proprie di entrambi.

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